mercoledì, agosto 11, 2010

ALTO ADIGE 11 AGOSTO 2010

La toponomastica e l’importanza del buon senso

PAOLO VALENTE
A proposito di nomi e toponimi si moltiplicano gli appelli all’uso del buon senso. Un segnale positivo. Vuol dire che l’interesse primario è legato ad una soluzione il più possibile condivisa e non all’utilizzo della materia come strumento di offesa politica, di autoaffermazione e di guerra. Però bisogna capire bene cosa si intenda per “buon senso”. Semplicemente la disponibilità al compromesso? A rinunciare ognuno a qualcosa “pro bono pacis”? A non insistere su certe posizioni che non si riesce a far passare, a lasciar perdere, ad occuparsi d’altro? Non sarebbe in tal caso un atteggiamento responsabile. Il “buon senso” non richiede studi complessi, grandi conoscenze, abilità particolari. Esso è patrimonio anche della cosiddetta “gente semplice” che riesce a cogliere al volo il senso di determinate situazioni. “Buon senso” significa essenzialmente saper valutare le conseguenze di una determinata azione.
 Facciamo un esempio: lanciare sassi da un cavalcavia. Tutti capiscono che può andare a finire male. Non occorrono studi particolari per stabilirlo, né commissioni o sondaggi.
E anche se un voto stabilisse che lanciare pietre sulla strada è una cosa che si può fare, le persone di buon senso continuerebbero a scuotere la testa. Altro esempio: è sensato andare a svegliare il can che dorme? La saggezza popolare suggerisce di no. Perché è facile comprendere cosa può succedere. Su quel cane si possono costruire teorie, si può indagare sul suo passato, si possono abbozzare analisi e aprire dibattiti, tuttavia prima di mettergli la mano sul muso chi è dotato di buon senso ci pensa due volte. Perché sa cosa rischia.
 Ora, se la questione toponomastica viene valutata alla luce delle conseguenze che possono provocare le soluzioni proposte, stiamo usando il buon senso. Altrimenti no.
 Viene da dire, tanto per cominciare, che chi vent’anni fa cominciò a tirare fuori il problema nei termini della cancellazione dei nomi italiani, non era dotato di buon senso. Le conseguenze oggi sono: l’aumento della diffidenza e dei pregiudizi tra i gruppi, un maggiore tasso di disagio nel gruppo italiano, un uso distorto della storia, l’indebolimento della componente italiana più disposta al dialogo, il rafforzamento della destra tedesca e delle sue argomentazioni. Ne valeva davvero la pena?
 Le conseguenze di un provvedimento che accetti il principio che una denominazione ufficiale bilingue possa diventare monolingue (come nella maggior parte delle proposte formulate in questi anni), quali sarebbero? Il venir meno del principio statutario del bilinguismo inteso come pari dignità tra le lingue. Una ferita difficilmente sanabile con effetti a breve e lungo termine nefasti per chiunque, non solo per il gruppo linguistico italiano.
 Le conseguenze di sondaggi e di decisioni distinte per ogni singolo nome? L’aprirsi di una serie infinita di contenziosi. Per ogni singolo toponimo potrebbe scoppiare una guerra, potrebbero essere inoltrati ricorsi e la storia andrebbe avanti in eterno. E’ questo che si vuole?
 Le conseguenze dell’equazione “nomi italiani” uguale “nomi fascisti” (o “di Tolomei”), quindi da sopprimere? La delegittimazione storica e morale non solo dei nomi ma dell’esistenza stessa della comunità italiana. Seguendo la medesima logica (ciò che è stato introdotto durante il Ventennio va cancellato) bisognerebbe radere al suolo la zona industriale, far saltare qualche centrale elettrica, piantare a patate l’ippodromo di Merano, insabbiare il lido, bombardare buona parte del capoluogo ed infine espellere dall’Alto Adige (nome, questo, da mettere all’indice) decine di migliaia di persone.
 Come si vede gli appelli al buon senso sono quanto mai urgenti. Una soluzione di buon senso non è così difficile da trovare. Si tratta, per cominciare, di rispettare il principio del bilinguismo (o trilinguismo). Mantenere i nomi nelle due o tre lingue laddove essi ci sono (indipendentemente da chi li ha creati ed introdotti) senza l’obbligo di tradurre i toponimi là dove essi non ci sono; applicare il plurilinguismo nelle nuove denominazioni, vegliare che l’uso del bi-trilinguismo sia rispettato. Punto. Le conseguenze? Ognuno si sentirebbe a casa. Ognuno sarebbe costretto a riconoscere ed accettare che viviamo in un condominio dove nessuno è più padrone di casa dell’altro, anche se riveste il ruolo di amministratore.